Ad ogni territorio la sua coltivazione: questa è la filosofia per una viticoltura di qualità.
Le varietà di viti sono classificate in base a caratteristiche specifiche, come l'attitudine alla produzione di uve da vino e l'ambito territoriale di coltivazione, e vengono autorizzate dalla Regione Liguria. La classificazione è stata definita con D.G.R. n.685/2003 del 20 giugno e modificata con D.D. n. 755/2004 del 24 aprile (integrazione delle varietà Scimiscià B., Rossese Bianco B. e Barsaglina N.) e  D.D. n. 1533/2004 del 27 luglio (integrazione della varietà Albarossa N.)
Soltanto le varietà di vite per uva da vino menzionate nella classificazione come varietà idonee alla coltivazione e riportate nelle delibere regionali possono essere impiantate, reimpiantate o innestate per la produzione di uva da vino a denominazione di origine protetta.

La Regione Liguria, ma anche aziende vitivinicole singole o associate, enti di assistenza tecnica, consorzi di tutela, enti pubblici o istituzioni scientifiche operanti nel settore della vitivinicoltura, possono promuovere l'inserimento di una nuova varietà di vite. L'inserimento di una varietà di uva da vino avviene comunque dopo prove attitudinali alla coltura per almeno tre vendemmie e ultimamente all'elenco regionale si sono aggiunte antiche varietà locali come lo scimiscià, la barsaglina, il rossese bianco e l'albarossa.

Per essere sempre aggiornato sulla realtà agricola ligure nelle biblioteche regionali trovi disponibili riviste, giornali e libri.

Tutte le pubblicazioni ufficiali della Regione Liguria sono raccolte nella biblioteca del Consiglio Regionale, mentre se hai bisogno di informazioni specifiche per il settore agrario puoi trovare tutto il materiale utile nella biblioteca del Servizio fitosanitario regionale.

È possibile consultare le pubblicazioni cartacee presso la Biblioteca della Regione; per ulteriori informazioni vai alla pagina dedicata sul sito di Regione Liguria

Perinaldo è un piccolo borgo che chiude la vallata del Crosia, all'estremità occidentale della Liguria. Una valle ricca di uliveti, la cui coltivazione è già citata in documenti del XII secolo e dove, pare, i frati minori di San Francesco innestarono i primi ulivi di taggiasca.

Meno nota è la produzione di un eccellente carciofo, importato due secoli addietro dalla vicina Provenza e acclimatatosi egregiamente in questa zona. Si tratta del "violet" francese introdotto, secondo la leggenda, dallo stesso Napoleone Bonaparte. Pare che durante la campagna d'Italia del 1796, dopo una sosta presso una nobile famiglia di Perinaldo, appreso che in zona non si conoscevano gli ottimi carciofi violetti coltivati nella vicina Provenza, Napoleone abbia fatto dono - successivamente - di alcuni piantine ai Perinaldesi.
Da quel momento in poi gli abitanti del piccolo comune lo diffusero negli orti locali. Il carciofo di Perinaldo, che è coltivato solo qui e in Provenza, tra i 400 e i 600 metri sul livello del mare, è senza spine, tenero e non ha barbe all'interno. Necessita di un buon drenaggio e non a caso lo si trova spesso ai bordi dei muretti a secco. Resiste alle temperature rigide, sopporta bene la siccità e non ha bisogno di trattamenti chimici, quasi come un ortaggio selvatico. Si raccoglie da maggio a giugno.
I Perinaldesi sono molto gelosi di questa rarità e forse è per questo, e non solo per l'esposizione, le caratteristiche del terreno e il microclima locale, che il carciofo violetto di Perinaldo è coltivato solo in questo piccolo centro e non nei paesi limitrofi. Si consuma crudo, in insalata oppure cotto in accompagnamento a carni o selvaggina. Le ricette tradizionali di Perinaldo lo vedono protagonista di frittatine, al forno con parmigiano e funghi, o in semplici frittelle con aglio e prezzemolo.

Il presìdio Slow Food

Piccolo, carnoso, latteo: è il rundin. Si semina a filari ordinati a maggio e si raccoglie a settembre. Vecchio di secoli, è giunto in Liguria probabilmente dalla Spagna attraverso la Provenza nel XVII secolo e ha trovato nella Valle Argentina e sulle alture di Pigna e Conio un habitat ideale e un nome. Le tre varietà si differenziano per la forma e le dimensioni: reniforme e un pochino più grosso il pignasco, ovoidali e più piccoli gli altri due.
Il segreto della loro bontà e delicatezza è ovviamente il terreno, il sole, ma soprattutto l'acqua sorgiva e calcarea di questo angolo di Liguria. Coltivati sulle terrazze in pietra a secco, arrampicati alle canne legate a covoni, i fagioli di Badalucco, Pigna e Conio sono coltivati soprattutto da anziani che mantengono ancora viva la tradizione di questa coltura. Si consumano lessi conditi con olio extra vergine, aglio, alloro, salvia e qualche grano di pepe, secchi nelle saporitissime zuppe oppure in pastella nei frisceui. Ma il piatto simbolo è senz'altro la capra e fagioli.

Il presìdio Slow Food

I cicciarelli sono pesciolini affusolati, color argento e senza squame. Lunghi quanto le dita di una mano, vivono in banchi numerosi e si nascondono sotto la sabbia con movimenti rapidissimi. Cicciarelli è il nome in italiano: a Noli, da sempre, li conoscono come lussi o lussotti e, da sempre, li pescano con la "rete a sciabica". La sciabica è antichissima: pare l'abbiano portata gli Arabi, in Liguria esiste sicuramente dal 1200.
I dieci pescatori di cicciarello rimasti sono gli eredi di una grande tradizione; fino agli anni '60, infatti, Noli era un centro importante per la pesca, per il commercio e la lavorazione del pesce.
Ancora oggi tutti i pescatori hanno un carrettino di legno e la mattina vendono il pesce fresco sulla spiaggia. Ma i clienti sono pochi: soprattutto anziani, spesso vecchi pescatori. Basta spostarsi di qualche chilometro e nessuno ha mai sentito nominare i cicciarelli. Un vero peccato, perché in carpione sono favolosi e nella fritturina di pesce sono indimenticabili.

Il presìdio Slow Food

In Val Bormida sopravvive un'antica tecnica un tempo diffusa in tutto l'arco appenninico ligure e nelle valli piemontesi: l'essiccatura delle castagne nei "tecci". I seccatoi, o tecci, sono piccole costruzioni in pietra di un solo locale con il tetto di scandole. All'interno, all'altezza di due o tre metri da terra, un soffitto di graticci in legno, la graia, permette al calore e al fumo di raggiungere le castagne. Ancora oggi, nei castagneti dell'Alta Valle Bormida, si trovano tecci attivi nascosti fra alberi secolari.

Dopo la raccolta, le castagne, prevalentemente della varietà Gabbina (o Gabbiana), si pongono sui soffitti a graticcio, sopra un fuoco basso e costante alimentato dalla potatura dei castagni o dalla pula. A mano a mano che procede la raccolta, gli strati aumentano: in totale l'affumicatura si protrae per due mesi circa. Al termine delle varie fasi di raccolta, le castagne si girano, portando quelle inferiori allo strato superiore per rendere uniforme l'affumicatura. Dopo questa operazione, detta "girata", le castagne sono esposte al fumo ancora per cinque, dieci giorni e poi battute per eliminare la scorza.
Il presìdio si propone di valorizzare questa antica tecnica di raccolta e conservazione. Un consorzio di raccoglitori di castagne ha redatto un disciplinare di produzione che delimita l'area di raccolta e indica nei dettagli le modalità di affumicatura, di lavorazione e di trasformazione.

Il Presidio Slow Food

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