prodotti e produzioni (33)
Tutti i prodotti liguri della panificazione: la tradizione si fa golosa...
Le aziende vitivinicole in Liguria sono complessivamente 3976, secondo il censimento generale dell'agricoltura del 2010 (1229 Imperia, 818 Savona, 530 Genova, 1399 Spezia). Di queste però circa 1800 quelle realmente sul mercato con le loro etichette, anche se, nella stragrande maggioranza, sempre appartenenti a piccoli produttori.
La superficie vitata regionale è di 1515 ettari, di cui 804 a Do (Denominazione di origine), 65 quella dove si producono vini con l’indicazione geografica Ig e 646 ettari la superficie di vigneti dove si produce vino senza particolari certificazioni. In Liguria la produzione complessiva di vino è di oltre cento mila ettolitri, pari a circa 4 milioni e mezzo di bottiglie.
La produzione di uva e vino in Liguria per la campagna 2013/2014 è stimata in 149.300 quintali di uva e 104.510 ettolitri di vino.
Il "sistema qualità" della vitivinicoltura ligure si esprime in 8 Denominazioni di Origine. Sono: Ormeasco di Pornassio, Rossese di Dolceacqua, Riviera Ligure di Ponente, Val Polcevera, Golfo del Tigullio-Portofino, Colline di Levanto, Cinque Terre, Colli di Luni e in 4 Indicazioni Geografiche: Liguria di Levante, Colline del Genovesato, Colline Savonesi, Terrazze dell’Imperiese.
Tra le uve a bacca bianca il vitigno più diffuso in tutte le quattro province liguri è il Vermentino, seguito dal Pigato e Lumassina per la provincia di Savona, il Bosco e l’Albarola per La Spezia, la Bianchetta e il Moscato per Genova. Tra le uve a bacca nera il Rossese di Dolceacqua, l’Ormeasco, la Granaccia e il Ciliegiolo sono tra i vitigni più rappresentativi. Tra i vini passiti da segnalare il celebre Schiacchetrà delle Cinque Terre.
A questi vitigni “tradizionali” si aggiungono quelli frutto della valorizzazione del patrimonio varietale autoctono ligure curata dall’assessorato all’agricoltura regionale che ha permesso un recupero capillare su tutto il territorio di numerose varietà autoctone minori a bacca bianca e rossa di particolare valore enologico fra cui Ruzzese, Moscatello di Taggia, Barbarossa, Massaretta, Bruciapagliaio, Picabon, Fratepelato, Vermentino nero.
Per sapere tutto sui vitigni di Liguria viticoltori e tecnici della viticoltura hanno a disposizione la guida "Le varietà di vite liguri - Schede ampelografiche" realizzata dalla Regione Liguria in collaborazione con il Centro regionale di agrometeorologia applicata di Sarzana.
Il libro aiuta a riscoprire, oltre a vitigni "classici" come il Vermentino, il Pigato, il Rossese, anche nuovi vitigni ritrovati al termine di un lungo lavoro di recupero, fra i quali il Ruzzese e lo Scimiscià.
Download allegati:
- Schede - Parte 1 (5 Scaricamenti)
- Varietà di vite idonee alla coltivazione in Regione Liguria (12 Scaricamenti)
- Schede - Parte 2 (5 Scaricamenti)
- Schede - Parte 3 (1 Download)
- Schede - Parte 4 (1 Download)
- Schede - Parte 5 (1 Download)
La relazione tra uomo e api affonda le sue radici nell'antichissimo passato.
Il miele infatti ha rappresentato per millenni l'unico alimento zuccherino concentrato disponibile.
Già dodicimila anni fa gli uomini primitivi saccheggiavano gli alveari selvatici per trafugare miele e cera. Questi piccoli insetti erano considerati in Grecia veri maestri di geometria per la perfezione delle loro celle esagonali, tutte rigorosamente inclinate lungo lo stesso asse geometrico. Gli egizi credevano ad un'origine divina: le lacrime del dio Ra, il Sole, prima di toccare il suolo si trasformarono in api.
Per far fermare uno sciame in volo e appropriarsene si usavano svariati mezzi come ad esempio battere uno strumento metallico. Questa credenza deriva in realtà da una antica legge romana che attribuiva lo sciame a chi lo avesse subito segnalato battendo su una pentola.
Nel corso del tempo l'apicoltura è divenuta più razionale: le api selvatiche venivano allevate in tronchi cavi (bugni villici), ma per l'estrazione del miele si ricorreva all'apicidio, cioè alla distruzione dell'intera famiglia. Solo nell'ultimo secolo l'uomo ha imparato a costruire le arnie a telai mobili e ad allevare le api domestiche, nel rispetto della loro vita.
L'apicoltore modella il suo lavoro sui comportamenti istintivi dei suoi insetti. La sua attività principale consiste nell'indurre le api ad accumulare più scorte di quelle che effettivamente servirebbero, per poter poi asportare la maggior parte della produzione.
Per favorire la produzione di miele gli alveari possono venire trasportati sul luogo delle fioriture più importanti (nomadismo).
L'ape domestica più allevata è la mellifera ligustica, originaria della nostra regione e usata in tutto il mondo per la sua laboriosità, docilità e il forte senso della famiglia.
Per recuperare i telai delle arnie ricolmi è necessario innanzitutto allontanare e calmare le api. La tecnica più accreditata è quella antica dell'affumicamento: il fumo infatti ammansisce le api poichè lo spavento le porta ad ingoiare miele e ciò le ostacola nell'estrazione del pungiglione.
Per passare dall'alveare alla tavola il miele richiede pochi passaggi:
- disopercolatura elimina lo strato di cera che chiude le cellette contenenti il miele
- estrazione vera e propria, condotta con smelatori centrifughi
- purificazione che può avvenire per filtrazione o per decantazione
Al termine di queste operazioni il miele può già essere invasettato.
Per ottenere un prodotto cristallizzato in maniera fine ed omogenea (miele cremoso) si usa la tecnica della cristallizzazione guidata che, pur migliorando le caratteristiche fisiche ed estetiche del miele, non ne altera la sostanza.
Trattamenti termici possono essere utilizzati per fluidificare i mieli già cristallizzati o per allungare il tempo di vita del prodotto allo stato liquido ma hanno effetto negativo sul prodotto in termini di perdita di aroma e qualità strutturali.
I prodotti principali dell'apicoltura, oltre il miele, sono: la cera, la pappa reale, la propoli e il polline.